Sport e movimento

Attività fisica e sistema immunitario - studi e bibliografia

a cura di Laura Olivero

Uno studio di Nieman e colleghi del 2011 ha rilevato che 1-2 ore al giorno di esercizio moderato su un campione di più di 500 persone riduce di un terzo il rischio di contrarre un’infezione respiratoria, rispetto ai soggetti che hanno uno stile di vita sedentario. 1

Un altro studio di Nieman e colleghi del 2019 ha messo in evidenza che la quantità di esercizio che una persona svolge ha un effetto sull'incidenza delle infezioni respiratorie. Dalla figura sotto riportata si evidenzia la relazione tra volume/intensità dell'esercizio e suscettibilità alle infezioni dell’apparato respiratorio superiore: come si può notare la linea che si forma sul diagramma è a forma di J. Secondo questo modello dunque prendere parte ad un'attività fisica moderata regolare riduce il rischio relativo di infezione al di sotto di quello di un individuo sedentario2,3.

attivita fisica e rischio infezione vie respiratorie

Un altro studio sempre di Nieman e colleghi del 2003 evidenzia che un singolo allenamento ha profondi effetti sul numero totale e sulla composizione dei leucociti e linfociti circolanti (cellule del sistema immunitario), molti dei quali sembrano essere mediati dal rilascio di ormoni dello stress come corticosteroidi (cortisolo) e catecolamine. Il conteggio totale dei leucociti aumenta a volte anche da due a quattro volte rispetto a quelli a riposo dopo un esercizio dinamico anche breve (dell’ordine dei minuti), mentre un esercizio di prolungato (0,5-3 ore) può far aumentare la conta dei leucociti fino a cinque volte. La normale conta dei leucociti solito ritorna ai livelli di pre-esercizio entro 6-24 ore dopo l’interruzione dello stesso. Sembra che questi effetti si accumulino nel tempo durante l’allenamento cronico producendo adattamenti immunologici. 7

L’esercizio fisico provoca profondi cambiamenti anche nel numero circolante di cellule natural killer, elementi fondamentali nel funzionamento dell’immunità innata, che sono in grado di distruggere cellule infette da virus e cellule tumorali.7

La protezione indotta dall’esercizio contro le infezioni può essere raggiunta con molti tipi di attività aerobica (ad es. camminata, jogging, ciclismo, nuoto, sport in genere). In generale, sembra che da 20 a 40 minuti di esercizio di moderata intensità al giorno siano sufficienti a promuovere un effetto benefico sul sistema immunitario.

È importante evidenziare che il processo d’invecchiamento nell’uomo è associato ad un progressivo declino della funzione del sistema immunitario, comunemente chiamato immunosenescenza. La maggior parte della ricerca medico clinica indica che un esercizio aerobico regolare di moderata intensità possa migliorare la funzione immunitaria negli individui più anziani. Gli effetti positivi dell’esercizio fisico sul sistema immunitario nelle persone anziane sono evidenziati da un aumento del numero di cellule T, concentrazione plasmatica di citochine infiammatorie più bassa e aumento dell’attività fagocitica dei neutrofili e citotossica delle cellule NK.

Altri studi dimostrano invece che dopo un intenso esercizio fisico gli atleti sperimentano una resistenza immunitaria indebolita e sono più suscettibili alle infezioni virali e batteriche, in particolare alle infezioni del tratto respiratorio superiore 2,5,6. Dopo un intenso esercizio fisico, gli atleti entrano in una finestra temporale in cui sperimentano una resistenza immunitaria indebolita e sono più suscettibili alle infezioni virali e batteriche, soprattutto quelle legate al tratto respiratorio superiore. Dopo un’attività fisica prolungata e di elevata intensità si assiste, infatti, a un calo generalizzato del funzionamento del sistema immunitario; questo fenomeno, della durata variabile tra le 3 e le 72 ore, è definito come “Open Window”7. Durante questo periodo lo sportivo si trova in uno stato di immunodepressione transitoria e quindi ad elevato rischio di contrarre un’infezione, in particolare delle vie aeree superiori. Questo fenomeno spiega la necessità di gestire in modo personalizzato un atleta dal punto di vista integrativo e medico-terapeutico durante la fase di preparazione, di sforzo fisico e di recupero. Nei soggetti meno preparati fisicamente l’Open Window si può attivare anche per sforzi meno pesanti: è dunque fondamentale anche per gli sportivi amatoriali contrastare il fenomeno lavorando sulla nutrizione e sulla corretta integrazione alimentare, nel caso in cui l’assunzione dei micro e dei macronutrienti non fosse sufficiente, per potenziare le naturali difese dell’organismo.

BIBLIOGRAFIA

  1. Upper respiratory tract infection is reduced in physically fit and active adults. David C, Nieman, Dru A Henson, Melanie D Austin, Wei Sha Br J Sports Med. 2011 Sep
  2. The compelling link between physical activity and the body's defense system. David C,Nieman,Laurel M.Wentz. Journal of Sport and Health Science. Volume 8, Issue 3, May 2019
  3. Upper respiratory tract infection is reduced in physically fit and active adults, David C Nieman, Dru A Henson, Melanie D Austin, Wei Sha. Br J Sports Med 2011 Sep;45(12):987-92
  4. The effects of moderate exercise on natural killer cells and acute upper respiratory tract infections. Nieman DC et al. International Journal of Sports Medicine 11:467- 473, 1990
  5. Prevention, diagnosis, and treatment of the overtraining syndrome: joint consensus statement of the European College of Sport Science and the American College of Sports Medicine.Meeusen R, Duclos M, Foster C, Fry A, Gleeson M, Nieman D, Raglin J, Rietjens G, Steinacker J, Urhausen A; European College of Sport Science. Medicine and Science in Sports and Exercises. 2013 Jan
  6. L’immunodepressione indotta da attività sportive di endurance. Riccardo Banducci, Carlo Gianmattei, Francesco Banducci, Alberto Tommasi. The Journal of Sport and Anatomy 2015; 2:71-77
  7. Current perspective on exercise immunology. David C. Nieman. Curr Sports Med Rep.2003 Oct;2(5):239-42.
  8. https://www.elav.eu/review/ELAV%20Research%20-%20Review%20-%20Quanto%20Allenarsi%20Durante%20la%20Pandemia%20di%20Coronavirus.pdf

* Cimenti invernali: etnomedicina del mare, VIDEO DELLA CONFERENZA

Cimenti invernali: etnomedicina del mare

A cura di: Dott. Roberto Giuria, Dott.ssa Ilaria Demori

I cimenti invernali sono manifestazioni non competitive in occasione delle quali ci si bagna e si nuota nelle acque fredde del mare, laghi e fiumi. Nel tempo si è evidenziato un beneficio psicofisico grazie a questa attività: qui sono presentati i risultati scientifici ottenuti dall'università di Genova alla luce del paradigma PNEI.

L'attività fisica nella storia

a cura di Laura Olivero

Nell’antica Grecia e nell’antica Roma l’attività fisica era considerata una vera e propria terapia, uno stile di vita tanto che Celso, filosofo greco del II secolo d.C., prescriveva l’esercizio fisico come profilassi, affermando che è necessario “tenersi in esercizio, se è vero che l’inerzia fiacca il corpo mentre la fatica lo rinforza: quella avvicina alla vecchiaia, questa prolunga la giovinezza”.

Nei secoli a seguire gli intellettuali spesso hanno giudicato negativamente tale comportamento. L’esercizio fisico veniva da loro spesso considerato una distrazione e una possibile fonte di peccato. Nel Medioevo ci fu qualche divergenza di opinione fra San Bernardo, che affermava che l’anima fiorisse di più in un fisico debole e malato, ed Avicenna, che sosteneva l’utilità dell’attività fisica “purché fosse leggera, per non “riscaldare” troppo l’organismo, per evitare la diffusione delle impurità presenti al suo interno”1.

Alcuni secoli dopo, nel 1569, un nobile italiano di nome Girolamo Mercuriale scrisse “Il De Arte Gymnastica”, quello che in molti considerano il primo manuale di Medicina dello Sport, esponendo le sue teorie con una modalità più ‘scientifica’. Questo testo poneva le basi, anche mediante la ricerca dell’esatta definizione di ogni termine utilizzato, per una vera e propria ‘scienza dell’esercizio fisico’. Gli intellettuali di quell’epoca ignoravano i benefici dell’attività fisica, in contrapposizione alle persone appartenenti ad altri strati sociali in cui di movimento e fatica ne facevano addirittura troppi in relazione alla quantità di cibo assunto e alle condizioni di vita generali. Ciò perdurò fino all’inizio del XX secolo: la salute di ampie fasce di popolazione veniva messa a rischio non dall’inattività fisica ma dall’eccessivo esercizio non supportato da una corretta alimentazione.

L’epoca moderna è contraddistinta invece da una situazione esattamente opposta: troppo spesso le persone non eseguono sufficiente attività motoria o addirittura non ne fanno nel modo più assoluto. L’inattività fisica e la sedentarietà rappresentano un problema di salute pubblica a livello globale. In tutto il mondo, 1 adulto su 4 e 3 adolescenti su 4 (di età compresa tra 11 e 17 anni), non svolgono attività fisica secondo le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). In alcuni paesi, i livelli di inattività possono arrivare fino al 70%, a causa del cambiamento dei modelli di trasporto, dell'aumento dell'uso della tecnologia e dell'urbanizzazione. Nella maggior parte dei paesi, ragazze, donne, anziani, gruppi svantaggiati, persone con disabilità e malattie croniche hanno minori opportunità di essere fisicamente attivi e ciò porta a uno squilibrio del bilancio energetico, fra introduzione di calorie e spesa di energia2,3.

Fu il professor Jeremy Morris a pubblicare per primo uno studio nel 1958 sul British Medical Journal nel quale mise in relazione l’aumento dell’incidenza di malattie cardiovascolari rispetto a comportamenti sedentari in alcune categorie di lavoratori. Egli condusse un sondaggio su larga scala prendendo in esame i dipendenti della compagnia pubblica di trasporto di Londra, notando che i conducenti degli autobus a due piani di Londra avevano tassi più elevati di incorrere in alcune malattie cardiovascolari rispetto ai controllori. 

Si formulò dunque la seguente ipotesi: i lavoratori fisicamente più attivi (controllori) presentavano una minore incidenza di malattie coronariche rispetto ai colleghi fisicamente inattivi (autisti) e la malattia non era così grave nei lavoratori fisicamente attivi, tendendo a presentarsi prima come angina pectoris e altre forme relativamente più benigne, e avere un tasso di mortalità prematura inferiore.

Morris, per dare valore alla propria tesi e controbattere alle contestazioni di chi metteva in dubbio i risultati dell’indagine, decise di estendere lo studio negli anni successivi ai dipendenti delle poste dimostrando anche in tale circostanza che i postini fisicamente più attivi (a quei tempi la posta si consegnava in bicicletta) incorrevano in meno attacchi cardiaci rispetto ai colleghi come telefonisti e impiegati 4,5

BIBLIOGRAFIA

  1. “Nel Mito di Olimpia. Ginnastica, educazione fisica e sport dall’antichità ad oggi”- Gabriella Aleandri- Armando Editore.
  2. https://www.who.int/en/news-room/fact-sheets/detail/physical-activity
  3. https://www.newyorker.com/magazine/2017/11/06/a-pill-to-make-exercise-obsolete
  4. https://academic.oup.com/ije/article/30/5/1184/724212
  5. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2027542/