Il periodo che stiamo vivendo da quasi un anno a questa parte, legato all’emergenza Covid-19, ci ha costretti a leggere il mondo con uno sguardo e un pensiero nuovi, sovvertendo le nostre sicurezze; questo cambiamento riguarda la popolazione in generale e anche, ovviamente, tutte le figure professionali che intervengono nella relazione d’aiuto.
La pandemia è arrivata all’improvviso e ha sovvertito l’ordine a cui eravamo abituati, sia sotto l’aspetto prettamente sanitario che sotto quello psicologico.
Alle implicazioni strettamente mediche si aggiungono quindi gli aspetti legati al malessere psicologico individuale e sociale: abbiamo dovuto affrontare la paura di ammalarci e di morire, la paura che potesse succedere ai nostri cari, molti fra noi hanno dovuto affrontare lutti e separazioni. L’ospedalizzazione, soprattutto nel primo periodo, è stata vissuta come un pericolo sia per la malattia che per l’isolamento a cui pazienti e parenti sono stati sottoposti. Abbiamo dovuto affrontare la paura di perdere il lavoro, di non poter mantenere noi stessi e la nostra famiglia, e anche le difficoltà economiche di una cassa integrazione che non arrivava.