Psicologia e gestione dello stress

La salute psichica di una comunità

 a cura di Bruno Zucca

Inconscio individuale e collettivo

Secondo i grandi maestri della Psicologia e della Filosofia esiste una dimensione personale della psiche e una collettiva. Ognuno di noi infatti ha il proprio inconscio, caratterizzato da una componente congenita, in parte ereditata, precedente alla nascita, e da una componente acquisita, che si struttura successivamente grazie alle esperienze di vita dall’infanzia all’età adulta.  Oltre l’inconscio individuale esiste però anche un inconscio famigliare ed un inconscio ancora più ampio, quello della comunità, frutto delle complesse interazioni individuo-società. Cosi come il singolo evolve grazie alla crescita della propria consapevolezza, illuminando l’inconscio, anche l’inconscio collettivo può evolvere verso una coscienza collettiva più matura od involvere verso dimensioni buie e caotiche.

Salute collettiva e vuoto culturale

Dell’inconscio individuale e famigliare si occupano le diverse scuole di psicoterapia, ma dell’inconscio collettivo chi si preoccupa? La psiche di ognuno di noi è interconnessa con quella degli altri, la influenza e ne è condizionata. È legittimo dunque che chi si occupa di sanità mentale e fisica si ponga il problema dello stato di salute dell’ecosistema sociale in cui sono immerse le sofferenze individuali. Ognuno di noi può infatti evolvere verso una condizione ideale di salute grazie anche all’influenza che famigliari e concittadini operano su di lui, come stimolo alla sua espressione creativa; al contrario essi possono essere di ostacolo. Di questo dovrebbero occuparsi in primis le Istituzioni statali, offrendo servizi alla popolazione che ne favoriscano il benessere sociale, sanitario e culturale. Da quello che si può osservare analizzando i comportamenti collettivi ed individuali nella vita reale e da quanto emerge da giornali e social, da lungo tempo la salute psico-fisica collettiva è gravemente sofferente. Siamo in una fase storica dove il tasso di follia collettivo è in aumento vorticoso. Non è un caso che le statistiche ci parlano di un aumento delle patologie degenerative organiche, favorite dallo stress e dall’inquinamento, e di quelle psichiatriche, stimolate dal disagio sociale e dal vuoto culturale. L’anno in corso, grazie agli eventi pandemici, ha fatto emergere in maniera drammatica una condizione preesistente che, Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale e docente di diritto alla Normale di Pisa, parlando in generale dell’Italia, ha definito di “analfabetismo funzionale e di ritorno”, presente a suo dire nel 50% della popolazione. Tale ignoranza è presente anche quando si tratta di consapevolezza circa la salute personale e collettiva; la condizione culturale di un popolo condiziona infatti fortemente il suo grado di consapevolezza personale e civile, e quindi anche il suo stato di salute psico-fisico. Scuola e comunicazione radiotelevisiva sono certamente responsabili della evoluzione od involuzione spirituale di un popolo ed a tal proposito sull’istruzione e sulla formazione culturale dei cittadini da tempo ormai si investe molto poco.

Come sta la psiche degli italiani? 

Cercheremo di rispondere ora a questo complesso interrogativo. Certamente la paura dell’infezione da Covid-19, della conseguente ospedalizzazione e del rischio per la propria sopravvivenza è ancora in questo momento il pensiero dominante nella testa dei nostri concittadini. A questo non si è contrapposta una comunicazione mass-mediatica rasserenante ed è stata spesso sottovalutata la crisi delle relazioni sociali legata al forzato distanziamento di cui le prime vittime sono bambini e giovani. Accanto alla paura per la propria salute occorre considerare anche la grande e giustificata paura di perdere la sussistenza economica a causa dell’incalzante crisi lavorativa. Stiamo per questi motivi assistendo ad un aumento del 30% del consumo di psicofarmaci. 

Un popolo psichicamente vulnerabile

Nella psiche italica, secondo uno dei più grandi psicanalisti del dopoguerra, E. Bernard, domina il complesso materno ed è assai debole il principio paterno e normativo. Il risvolto positivo di questa dominante archetipica è un sentimento innato di solidarietà ed accoglienza verso chi è bisognoso; la nostra cultura religiosa caritatevole ne è un tratto essenziale. La polarità negativa dell’archetipo è rappresentata invece da una sorta di buonismo fiduciario che nutriamo verso chi dice di volersi protettivamente occupare di noi, fingendosi compassionevole. Questa creduloneria ci rende vulnerabili. Una dominante archetipica di questo tipo accentua da un lato caratteristiche animiche “femminili”come idealismo e vocazione artistica, ma ci rende dall’altro iperemotivi, infantili e psichicamente dipendenti. La debolezza inconscia del principio maschile genera purtroppo frequentemente una perdita di eticità e virilità, accentuando caratteristiche come l’inaffidabilità e l’ignavia. La mancanza di freni inibitori morali è altresì responsabile in alcuni casi di distorsioni sociopatiche caratterizzate da furbizia, ciarlataneria e corruttibilità anche in individui che hanno avuto la possibilità di studiare e laurearsi; avere una cultura non è conseguenza automatica dell’aver studiato, ma è anche legato all’introiezione di valori umanistici e civici grazie a sane relazioni primarie e scolastiche. Quando un popolo psichicamente e civicamente è immaturo tende a prediligere soluzioni comode e poco coraggiose, quelle che implicano un minor disagio mentale; fatica a ritenere falso ciò che altri gli propinano come veritiero perché non vuole essere turbato da ciò che addolora, delude, spaventa e non rassicura. Le scienze psicologiche ci insegnano che i bambini, ed un popolo incolto può essere considerato immaturo, anche quando subiscono maltrattamenti inumani dagli adulti, continuano, per motivi di sopravvivenza psichica, a ritenerli il loro riferimento esistenziale. Per lo stesso motivo un adulto preferisce pensare che non sia un amico o il partner a tradire la propria fiducia ma che qualcun’altro sia intervenuto fuorviandoli. Per lo stesso meccanismo noi Italiani preferiamo credere che chi ha studiato e riveste ruoli di prestigio scelga sempre il nostro bene; lo perdoniamo e tendiamo a pensare sia frutto di una incompetenza occasionale anche quando scopriamo chiaramente che ci sta danneggiando. Fatichiamo a credere che sia indifferente a noi e che desideri sfruttarci per un suo meschino tornaconto, considerandoci sacrificabili. Il desiderio di scegliere la via di minore disagio ci porta a rifiutare aprioristicamente qualsiasi punto di vista leggermente critico. La maggioranza delle persone poco colte sono per questo sprovviste di senso critico; preferiscono non pensare con la propria testa ma affidarsi al punto di vista maggioritario, rinunciando in questo modo ad attivare il proprio principio maschile, tradizionalmente debole nella cultura italica. Il senso critico è il sale della democrazia e quindi della salute e della consapevolezza; senza democrazia non c’è salute ma sottomissione acritica. Un risveglio di consapevolezza e di senso critico sarebbe gradito perchè costituirebbe un primo segno di guarigione di una società gravemente malata.