Oltre la dipendenza, verso l'infinito
A cura di Silvia Braghini
A cura di Silvia Braghini
a cura di Bruno Zucca
Il concetto di salute come equilibrio dinamico contempla anche il possibile superamento dell’egocentrismo patologico. Noi tutti ci sentiamo protagonisti assoluti della nostra esistenza: se ci affermiamo realizzando i nostri obiettivi siamo felici e ci auto attribuiamo i meriti del successo, “io sono stato capace, io ho lottato, io ho vinto”. Quando al contrario ciò non accade e falliamo ci riteniamo inadeguati e colpevoli: “io non sono stato capace, io non ho lottato, io sono stato sconfitto”. Tutto questo è segnato da un assoluto egocentrismo di tipo patologico dove l’io si sente unico protagonista, nel bene e nel male, degli eventi. Perché questo modo di porsi è patologico? Siamo proprio sicuri che tutto dipenda da noi? Dipende tutto soltanto dalle nostre presunte abilità o incapacità? L’esperienza dimostra che è vero che la vita premia i coraggiosi, che sforzi e determinazione sono essenziali al raggiungimento di certi obiettivi; l’esperienza però dimostra anche il contrario: tante volte sforzo e determinazione non vengono ripagati dai risultati sperati. Questo non è dovuto solo alla variabile umana, cioè alla possibilità che il conseguimento di certi risultati sia legata alla presenza o alla assenza di solidarietà e collaborazione da parte di altre persone con cui interagiamo. Spesso tutto questo è spiegabile solo ipotizzando la presenza di una variabile extra umana o addirittura sovrumana. Già gli antichi credevano nell’esistenza di un quid di imprevedibilità che chiamarono Fato o Fortuna. Numerose tradizioni religiose hanno consacrato questo dato nel noto detto fatalista ”non cade foglia che Dio non voglia”. Nel corso dei tempi gli esseri umani si sono resi conto che nonostante l’impegno e la costanza, in alcune circostanze gli eventi non giungevano a compimento, non potevano cioè essere positivamente condizionati dall’intelligenza e dalla volontà dell’uomo. Altri fattori, di origine extra umana o sovrumana, possono dunque essere decisivi negli accadimenti e condizionarne il corso o addirittura renderli impossibili. “Aiutati che Dio ti aiuta” è un motto che sprona la nostra volontà all’impegno ma introduce la consapevolezza che l’agire umano è da solo insufficiente senza la necessaria collaborazione di una forza superiore alla nostra piccola volontà. Risulta dunque, dall’esperienza di vita che ognuno di noi può riflettere, che in ogni evento entrano sempre in gioco due forze: una più piccola, la nostra volontà, ed una più grande, una sorta di volontà superiore. Dal gioco di interazione tra di esse si evidenzia il frutto degli accadimenti. Una vita condotta all’insegna dell’Io risulta essere alquanto stressante: il sovraccarico in termini di aspettative e inevitabili delusioni è assai grande. Anche di questo ci si ammala: l’egocentrismo è fonte di patologia quando tutto grava sulle nostre spalle e tutto dipende da noi. Secondo il grande psicoanalista svizzero K.G.Jung non si siamo mai veramente guariti se non riusciamo ad attivare dentro di noi la funzione trascendente, ovvero se non acquisiamo la capacità di sentire che una forza più grande sovraintende ai nostri pensieri e alle nostre azioni. Questo ci permetterebbe in alcuni momenti di provare ad affidarci al corso del destino, tirando i remi in barca, dopo che abbiamo fatto con serietà la nostra parte senza successo. Questo ci permetterebbe anche di disinvestire sui possibili successi delle nostre azioni e di avere meno delusioni. Se la nostra capacità di affidamento all’intelligenza dell’universo aumentasse saremmo meno sottoposti allo stress del fallimento. In un progetto di guarigione psicofisica e spirituale deve trovare spazio una consapevolezza profonda di questo tipo: “non dipende tutto da me, le cose accadono o non accadono spesso indipendentemente dalla mia volontà, ma perché era destino che accadessero o che non accadessero; ciò che mi inorgoglisce, del resto, non è poi tutta farina del mio sacco, ci sono dei doni di cui sono stato beneficiato che talvolta consentono eventi positivi”. Grazie a questa ritrovata umiltà la vita ritornerà a scorrere dentro di noi ed intorno a noi con una nuova forza e limpidezza, e l’egocentrismo patologico, fonte di stress, sarà stato opportunamente ridimensionato.
a cura di Bruno Zucca
La salute psicofisica è legata ad una condizione armonica interiore, mai conseguita una volta per tutte ma in perenne e mutevole divenire. Secondo l’ipotesi costituzionalista, ognuno di noi ha una caratteristica centrale che lo orienta nel sentire e nell’agire nel corso di tutta la propria esistenza, colorandone le potenzialità espressive. Il nucleo profondo del Sé è caratterizzato da due aspetti polari contrapposti che tendono a prevaricarsi e solo raramente ad integrarsi spontaneamente; essi ruotano intorno ad un perno centrale, costituito dalla nostra qualità essenziale. L’equilibrio nel nostro modo di essere, sentire ed agire è una condizione imprescindibile per il mantenimento di una buona condizione di salute ed è raggiungibile grazie ad una adeguata consapevolezza di sé, frutto di un dialogo costante tra i due principali aspetti contrapposti della nostra personalità che per semplicità chiameremo lato A e lato B. Essi sono in perenne confronto-scontro a nostra insaputa alla ricerca di una possibile integrazione dinamica: ognuno di noi ha un lato oscuro ed uno luminoso, uno pubblico ed uno privato e nascosto, uno istintuale ed uno logico e razionale, uno apparentemente forte ed uno apparentemente più debole, uno più femminile ed uno più maschile, un lato spirituale ed uno più materiale. L’interazione dinamica tra le due opposte declinazioni della nostra caratteristica primaria è all’origine della nostra realizzazione o fallimento, del nostro benessere o malattia. L’individuazione di questa qualità principe e delle sue due opposte declinazioni richiede l’impegno in un percorso di conoscenza di sé che può permettere uno sviluppo delle proprie prerogative così come un certo benessere psicofisico. Se per esempio un soggetto è animato dalla qualità essenziale della lealtà, troverà dentro di sé anche l’aspetto polare opposto caratterizzato dalla mancanza di lealtà verso sé stesso e gli altri.
Per lealtà si deve intendere l’onestà dichiarata e ammirevole, costantemente associata a franchezza o a sincerità; si tratta di un atteggiamento di correttezza e dirittura morale, attaccamento al dovere e rispetto della propria dignità, nel mantenimento degli impegni assunti, nei rapporti con determinate persone, nella fedeltà alle istituzioni e a chi le rappresenta. Chi ha questa attitudine prevalente nella propria struttura personologica dovrà inevitabilmente confrontarsi con l’aspetto opposto, cioè con la mancanza di dirittura morale, con la difficoltà a mantenere gli impegni assunti: avrà cioè un lato oscuro infedele e traditore. Entrambe gli aspetti sono funzionali alla nostra espressione e una netta prevalenza dell’uno sull’altro può determinare squilibri e sofferenze patologiche. La personalità leale può per esempio essere estremamente rigida e moralista ed impedirsi di esprimere sé stessa, restando fedele anche a rapporti soffocanti e patologici per non infrangere il proprio codice morale; rinunciando alla propria dignità per lealtà agli altri si può infatti tradire sè stessi. Del resto restare ancorati al lato inaffidabile e traditore impedisce la costruzione di rapporti umani autentici e sinceri, creando conflitti e permanenti insoddisfazioni, dolori e soprusi: solo coltivando la polarità mancante può sperare di raggiungere un certo equilibrio e benessere. Il soggetto che ha come nota dominante costituzionale la tematica della lealtà-tradimento vivrà con estrema amplificazione gli eventi relazionali segnati da questo colore od attributo. Agirà o subirà situazioni con questa problematica ed in esse evolverà od involverà, si realizzerà o fallirà. La mediazione dinamica tra gli aspetti polari consente un equilibrio salutare poiché ogni fattore di squilibrio tra A e B porta con sé somatizzazioni, ovvero un possibile trasferimento del malessere psichico sugli organi interni. Negli esempi citati, a causa dei ripetuti tradimenti subiti od agiti, il sistema cardiocircolatorio o cerebrale può ammalarsi; essendo tale apparato intensamente coinvolto nelle relazioni umane, quando viene continuamente sollecitato da fattori stressanti legati a sensi di colpa, abbandoni e solitudine affettiva, rabbie represse, paure e frustrazioni può manifestare squilibri funzionali o malattie vere e proprie. Il percorso di cura in questi casi deve considerare il valore della integrazione tra personalità A e B. La prevenzione di questi disturbi richiede altresì una conoscenza della nostra specificità dinamica interiore.
a cura di Bruno Zucca
Gli eventi epidemici hanno messo in luce la drammatica condizione in cui spesso vivono le persone anziane. Nel corso dell’ultimo anno molti di loro hanno subito un isolamento forzato dai rapporti con i loro famigliari. All’interno di una campagna di prevenzione territoriale delle malattie degenerative e delle malattie infettive è fondamentale l’educazione a stili di vita più sani nella Terza età.
Il progresso tecnologico e scientifico, il benessere materiale ed economico ed i passi in avanti compiuti dalla medicina hanno consentito all’uomo contemporaneo di godere di una maggior aspettativa di vita. Nei secoli scorsi si moriva molto giovani, oggi invece si può raggiungere facilmente un traguardo di ottant’anni.
La cultura dominante non ha considerato però questo salto epocale una risorsa per l’Uomo. La nostra società non è in grado di tollerare l’invalidità, l’inefficienza senile od il destino di morte.
Frequentemente i nonni servono alla famiglia per occuparsi dei nipoti, altrimenti abbandonati a sé stessi da genitori che per necessità sono impegnati lavorativamente a tempo pieno; ed è solo per questo che spesso non si tollera l’eventuale invalidità dell’anziano. I nostri nonni sono spesso costretti a lunghe degenze in costose case di cura lontano dagli affetti. In questi stessi luoghi poi si finisce per morire in maniera anonima.
Anche l’esperienza del morire infatti viene negata dalla materialistica società dell’apparire. Molte situazioni parafisiologiche dovute all’invecchiamento meriterebbero di essere seguite a casa da personale specializzato impegnato sul territorio, capace di supportare solitudine e mancanza di autosufficienza. Spesso però lo Stato, essendo pesantemente indebitato, non può permettersi questo servizio. A milioni di persone che hanno lavorato una vita intera non viene così concessa l’opportunità di godere nell’ultima parte della loro esistenza di capillari attività assistenziali, ricreative, culturali e sociali. I talenti umani rimasti inespressi nel periodo economicamente produttivo della vita non vengono così valorizzati. Talvolta si ritiene addirittura dispendioso investire nel settore assistenziale, ricreativo e culturale, considerato economicamente non sostenibile dalle finanze statali.
Pur considerando che l’allungamento dell’età media comporta inevitabilmente un maggior numero di malati da curare e maggior assistenza da erogare, non possiamo parallelamente dimenticare lo spreco economico conseguente ad una eccessiva medicalizzazione dell’invecchiamento. Si ricorre infatti spesso a ricoveri, accertamenti o terapie non indispensabili, come accade nel caso di tumori o demenze che colpiscono i novantenni. Una società culturalmente matura ed evoluta deve cogliere l’opportunità dell’allungamento dell’aspettativa di vita e consentire ai suoi cittadini più anziani una dignitosa Terza età; questo potrebbe consentire loro di apprezzare maggiormente l’esistenza grazie a momenti di ricerca psicologica interiore (gruppi psicologici di autocoscienza), a luoghi di formazione culturale (università per anziani), a palestre dove si possono praticare attività ginnico - sportive, ad ambiti che consentano l’espressione artistica, a spazi ricreativi e di socializzazione, ad attività come l’orticoltura, a centri bocciofili, a scuole di danza o di musica.
Aiutare lo sviluppo psicofisico e spirituale di un individuo che invecchia non è un lusso“superfluo” che la nostra civiltà non può permettersi. Invecchiare nel terzo millennio può essere un grande privilegio per ampi strati di popolazione e non un peso economico insostenibile. Una delle tante contraddizioni della nostra epoca è quella che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile a fronte di milioni di giovani senza lavoro. Se nella nostra epoca prevalesse il buon senso e la saggezza a tutto questo si porrebbero correzioni. Si continua invece a considerare l’invecchiamento non remunerativo e causa di perdita di produttività.
In una società che misura tutto con il parametro del denaro. Il vivere più a lungo non viene valorizzato, non viene considerato un traguardo del progresso, capace di consentire un sereno e ampio sviluppo delle potenzialità umane. Il passaggio dalla società contadina alla società industriale ha comportato un atteggiamento culturale svalutativo verso la vecchiaia.
Nella società dell’efficienza il vecchio è considerato un peso, non è più il maestro di vita che può orientare le scelte con i suoi saperi e la sua saggezza. I tempi dilatati e liberi dal vincolo produttivo che accompagnano la terza età non vengono considerati una opportunità di espansione e di espressione delle potenzialità valoriali dell’essere umano. Invecchiare può infatti consentire lo sviluppo di importanti caratteristiche umane: la sapienza, la saggezza, la maturità, l’equilibrio. Queste qualità, per altro, non sono possibili precocemente nel processo di sviluppo psicologico perché sono direttamente proporzionali all’età. Quando un individuo gode della forza della giovane età si sente padrone della situazione; egli deve giustamente investire energie per raggiungere i suoi scopi con entusiasmo e coraggio.
Quando invece perde vitalità impara ad essere più misurato, a riconoscere il senso del limite, a rinunciare alla presunzione e all’onnipotenza; impara ad affidarsi al destino, a rinunciare all’egoismo, diventa più fatalista e può insegnare e testimoniare la saggezza, la fede e la religiosità. Tutto questo è difficile che si manifesti in epoca giovanile poiché l’albero della vita umana dà i suoi frutti in autunno, cioè tardi negli anni, quando finalmente l’essenza umana può emergere.
L’essenza dell’uomo è caratterizzata da molteplici facoltà, tra cui la libertà, la socialità e la spiritualità. L’uomo nasce libero ma la vera libertà la può sperimentare solo quando si libera dai doveri sociali e familiari e può essere veramente sé stesso, ovvero quando è anziano. L’uomo è un animale sociale ovvero non può prescindere dalle relazioni umane: l’età in cui può esprimere il meglio di sé in campo affettivo, comunicativo e sociale è l’età avanzata, quando equilibrio, saggezza ed autenticità possono emergere. L’uomo è un essere spirituale e nella Terza età può finalmente dedicarsi all’ascolto del silenzio interiore, alla contemplazione del mistero che lo sovrasta, sviluppando la capacità di affidamento. A quest’albero dai frutti tardivi una società evoluta deve dare rispetto e nutrimento pena un’inesorabile decadimento involutivo. L’evoluzione sociale umana è infatti conseguente all’evoluzione dei suoi membri di generazione in generazione.
Concludo con una citazione del grande Psichiatra e Psicoanalista svizzero C. G. Jung:
“… nella seconda metà dell’esistenza rimane vivo soltanto chi, con la vita, vuole morire. Perché ciò che accade nell’ora segreta del mezzogiorno della vita è l’inversione della parabola, è la nascita della morte. La vita dopo quell’ora non significa più ascesa, sviluppo, aumento, esaltazione vitale, ma morte, dato che il suo scopo è la fine. “disconoscere la propria età” significa “ribellarsi alla propria fine”. Entrambi sono un “non voler vivere”; giacché “non voler vivere” e “non voler morire” sono la stessa cosa. Divenire e passare appartengono alla medesima curva.
La coscienza fa quel che può per non accogliere questa verità pur incontestabile. In genere si resta attaccati al proprio passato, fermi nell’illusione di restar giovani. Essere vecchi è estremamente impopolare. Non ci si rende conto che il “non poter invecchiare” è cosa da deficienti, come lo è il non poter uscire dall’infanzia. Un uomo di trent’anni che è ancora infantile viene compatito; ma un settantenne giovanile viene considerato “delizioso”. Eppure sono entrambi perversi, senza stile e psicologicamente deformi. Un giovane che non lotta e non vince, si lascia sfuggire la parte migliore della giovinezza; un vecchio che si rifiuta di dare ascolto al mistero del torrente che scroscia dalle cime verso le valli, è dissennato, è una mummia spirituale e quindi null’altro che un passato cristallizzato. Egli se ne sta fuori della propria vita e non fa che ripetersi meccanicamente fino alla più stucchevole sazietà. Che razza di civiltà può essere quella che ha bisogno di simili fantasmi?”
Carl G. Jung “Anima e morte – sul rinascere” ed. Boringhieri
a cura di Bruno Zucca
Inconscio individuale e collettivo
Secondo i grandi maestri della Psicologia e della Filosofia esiste una dimensione personale della psiche e una collettiva. Ognuno di noi infatti ha il proprio inconscio, caratterizzato da una componente congenita, in parte ereditata, precedente alla nascita, e da una componente acquisita, che si struttura successivamente grazie alle esperienze di vita dall’infanzia all’età adulta. Oltre l’inconscio individuale esiste però anche un inconscio famigliare ed un inconscio ancora più ampio, quello della comunità, frutto delle complesse interazioni individuo-società. Cosi come il singolo evolve grazie alla crescita della propria consapevolezza, illuminando l’inconscio, anche l’inconscio collettivo può evolvere verso una coscienza collettiva più matura od involvere verso dimensioni buie e caotiche.
Salute collettiva e vuoto culturale
Dell’inconscio individuale e famigliare si occupano le diverse scuole di psicoterapia, ma dell’inconscio collettivo chi si preoccupa? La psiche di ognuno di noi è interconnessa con quella degli altri, la influenza e ne è condizionata. È legittimo dunque che chi si occupa di sanità mentale e fisica si ponga il problema dello stato di salute dell’ecosistema sociale in cui sono immerse le sofferenze individuali. Ognuno di noi può infatti evolvere verso una condizione ideale di salute grazie anche all’influenza che famigliari e concittadini operano su di lui, come stimolo alla sua espressione creativa; al contrario essi possono essere di ostacolo. Di questo dovrebbero occuparsi in primis le Istituzioni statali, offrendo servizi alla popolazione che ne favoriscano il benessere sociale, sanitario e culturale. Da quello che si può osservare analizzando i comportamenti collettivi ed individuali nella vita reale e da quanto emerge da giornali e social, da lungo tempo la salute psico-fisica collettiva è gravemente sofferente. Siamo in una fase storica dove il tasso di follia collettivo è in aumento vorticoso. Non è un caso che le statistiche ci parlano di un aumento delle patologie degenerative organiche, favorite dallo stress e dall’inquinamento, e di quelle psichiatriche, stimolate dal disagio sociale e dal vuoto culturale. L’anno in corso, grazie agli eventi pandemici, ha fatto emergere in maniera drammatica una condizione preesistente che, Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale e docente di diritto alla Normale di Pisa, parlando in generale dell’Italia, ha definito di “analfabetismo funzionale e di ritorno”, presente a suo dire nel 50% della popolazione. Tale ignoranza è presente anche quando si tratta di consapevolezza circa la salute personale e collettiva; la condizione culturale di un popolo condiziona infatti fortemente il suo grado di consapevolezza personale e civile, e quindi anche il suo stato di salute psico-fisico. Scuola e comunicazione radiotelevisiva sono certamente responsabili della evoluzione od involuzione spirituale di un popolo ed a tal proposito sull’istruzione e sulla formazione culturale dei cittadini da tempo ormai si investe molto poco.
Come sta la psiche degli italiani?
Cercheremo di rispondere ora a questo complesso interrogativo. Certamente la paura dell’infezione da Covid-19, della conseguente ospedalizzazione e del rischio per la propria sopravvivenza è ancora in questo momento il pensiero dominante nella testa dei nostri concittadini. A questo non si è contrapposta una comunicazione mass-mediatica rasserenante ed è stata spesso sottovalutata la crisi delle relazioni sociali legata al forzato distanziamento di cui le prime vittime sono bambini e giovani. Accanto alla paura per la propria salute occorre considerare anche la grande e giustificata paura di perdere la sussistenza economica a causa dell’incalzante crisi lavorativa. Stiamo per questi motivi assistendo ad un aumento del 30% del consumo di psicofarmaci.
Un popolo psichicamente vulnerabile
Nella psiche italica, secondo uno dei più grandi psicanalisti del dopoguerra, E. Bernard, domina il complesso materno ed è assai debole il principio paterno e normativo. Il risvolto positivo di questa dominante archetipica è un sentimento innato di solidarietà ed accoglienza verso chi è bisognoso; la nostra cultura religiosa caritatevole ne è un tratto essenziale. La polarità negativa dell’archetipo è rappresentata invece da una sorta di buonismo fiduciario che nutriamo verso chi dice di volersi protettivamente occupare di noi, fingendosi compassionevole. Questa creduloneria ci rende vulnerabili. Una dominante archetipica di questo tipo accentua da un lato caratteristiche animiche “femminili”come idealismo e vocazione artistica, ma ci rende dall’altro iperemotivi, infantili e psichicamente dipendenti. La debolezza inconscia del principio maschile genera purtroppo frequentemente una perdita di eticità e virilità, accentuando caratteristiche come l’inaffidabilità e l’ignavia. La mancanza di freni inibitori morali è altresì responsabile in alcuni casi di distorsioni sociopatiche caratterizzate da furbizia, ciarlataneria e corruttibilità anche in individui che hanno avuto la possibilità di studiare e laurearsi; avere una cultura non è conseguenza automatica dell’aver studiato, ma è anche legato all’introiezione di valori umanistici e civici grazie a sane relazioni primarie e scolastiche. Quando un popolo psichicamente e civicamente è immaturo tende a prediligere soluzioni comode e poco coraggiose, quelle che implicano un minor disagio mentale; fatica a ritenere falso ciò che altri gli propinano come veritiero perché non vuole essere turbato da ciò che addolora, delude, spaventa e non rassicura. Le scienze psicologiche ci insegnano che i bambini, ed un popolo incolto può essere considerato immaturo, anche quando subiscono maltrattamenti inumani dagli adulti, continuano, per motivi di sopravvivenza psichica, a ritenerli il loro riferimento esistenziale. Per lo stesso motivo un adulto preferisce pensare che non sia un amico o il partner a tradire la propria fiducia ma che qualcun’altro sia intervenuto fuorviandoli. Per lo stesso meccanismo noi Italiani preferiamo credere che chi ha studiato e riveste ruoli di prestigio scelga sempre il nostro bene; lo perdoniamo e tendiamo a pensare sia frutto di una incompetenza occasionale anche quando scopriamo chiaramente che ci sta danneggiando. Fatichiamo a credere che sia indifferente a noi e che desideri sfruttarci per un suo meschino tornaconto, considerandoci sacrificabili. Il desiderio di scegliere la via di minore disagio ci porta a rifiutare aprioristicamente qualsiasi punto di vista leggermente critico. La maggioranza delle persone poco colte sono per questo sprovviste di senso critico; preferiscono non pensare con la propria testa ma affidarsi al punto di vista maggioritario, rinunciando in questo modo ad attivare il proprio principio maschile, tradizionalmente debole nella cultura italica. Il senso critico è il sale della democrazia e quindi della salute e della consapevolezza; senza democrazia non c’è salute ma sottomissione acritica. Un risveglio di consapevolezza e di senso critico sarebbe gradito perchè costituirebbe un primo segno di guarigione di una società gravemente malata.
a cura di Bruno Zucca
Henrietta Fore, Direttore esecutivo dell’UNICEF, ha recentemente affermato:Lockdown: allarme per bambini e giovani
“A un anno dall’inizio della pandemia COVID-19, si è visto un regresso praticamente in ogni area chiave dell’infanzia”. Ha aggiunto: “Il numero di bambini affamati, isolati, maltrattati, ansiosi, che vivono in povertà e costretti a sposarsi è aumentato. Allo stesso tempo, è diminuito il loro accesso all’istruzione, alla socializzazione e ai servizi essenziali, tra cui salute, nutrizione e protezione. I segni che i bambini porteranno come cicatrici della pandemia negli anni a venire sono inconfondibili“[...]“I bambini devono essere al centro degli sforzi di recupero”[…] “Questo significa dare la priorità alle scuole nei piani di riapertura. Significa fornire protezione sociale, compresi i trasferimenti di denaro per le famiglie. Occorrerà raggiungere i bambini più vulnerabili con servizi critici. Solo così potremo proteggere questa generazione dal diventare una generazione perduta”.
Dal rapporto UNICEF emerge come la pandemia COVID-19, e le conseguenti restrizioni, abbiano colpito duramente bambini [1]
Nei paesi in via di sviluppo, la povertà infantile si prevede possa aumentare del 15%. Si teme inoltre che 140 milioni di bambini in questi paesi appartengano a famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà.
Per oltre 168 milioni di alunni del pianeta le scuole sono chiuse da un anno. Due terzi dei paesi con chiusure totali o parziali si trovano in America Latina e nei Caraibi. Mentre le scuole erano chiuse, almeno 1 bambino su 3 in età scolare non è stato in grado di accedere all’apprendimento da remoto.
Prima della fine del decennio potrebbero verificarsi circa 10 milioni di matrimoni infantili in più, minacciando anni di progressi nella riduzione della pratica.
Almeno 1 bambino e giovane su 7 ha vissuto a casa per la maggior parte dell’ultimo anno, con conseguenti sentimenti di ansia, depressione e isolamento.
A partire da novembre 2020, principalmente nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale, altri 6-7 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni potrebbero aver sofferto di deperimento o malnutrizione acuta: si tratta di un aumento del 14% che potrebbe tradursi in 10.000 decessi infantili in più ogni mese. Si è verificato inoltre un calo del 40% nei servizi nutrizionali per bambini e donne.
Circa 3 miliardi di persone in tutto il mondo non dispongono di servizi di base per il lavaggio delle mani con acqua e sapone domestici. Nei paesi meno sviluppati inoltre i tre quarti delle persone, i due terzi delle scuole e un quarto delle strutture sanitarie, non dispongono dei servizi igienici di base necessari per ridurre la trasmissione di COVID-19. In media 700 bambini di età inferiore ai cinque anni muoiono ogni giorno per malattie dovute alla mancanza di acqua, servizi igienici e igiene.
A rendere ancora più drammatico il quadro contribuisce l’allarme lanciato da alcuni psichiatri italiani, tra cui il professor Vicari, primario dell’unità operativa complessa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del nosocomio pediatrico romanoBambin Gesù. [2]
Per il professore “è anche a causa del Covid-19 e di questo periodo (con o senza lockdown) che sono aumentati atti autolesionistici e suicidari; si rileva inoltre una crescita di disturbi mentali sia nei ragazzi che nei bambini: irritabilità, ansia, sonno disturbato”. In una intervista alla Repubblica afferma: “Da ottobre ad oggi, quindi dopo la prima ondata Covid, abbiamo registrato un aumento dei ricoveri del 30% circa. Fino ad ottobre avevamo il 70% dei posti letto occupati (8 in tutto), oggi il 100%. Nel 2011 abbiamo avuto 12 ricoveri per attività autolesionistica, a scopo suicidario e non, mentre nel 2020 oltre 300, quindi quasi uno al giorno” […] “Tutto questo è assolutamente associato al periodo di chiusura, gli adolescenti vivono con grande preoccupazione questo periodo e quindi c’è una ripercussione sui loro vissuti particolarmente importante. Mi comincio a chiedere quando tutta questa emergenza sarà finita quello che dovremo gestire. Sarà un’onda lunga”. E ancora: “C’è un altra fetta nel mondo di giovani che si chiudono sempre di più dentro casa, dentro la stanza, che trascorrono ore ai videogiochi senza nessun interesse sociale. Che vivono l’inutilità della relazione e confinano sempre più questo mondo ai tablet o agli strumenti tecnologici. Finita l’emergenza sarà molto difficile farli uscire di casa. È li che trovano rassicurazione. È lì che gli si rinforza il sintomo di una fobia sociale che spesso si accompagna a forme più o meno acute di depressione”.
Molti psichiatri ed insegnati italiani si sono associati alle preoccupazioni per il boom di tentativi di suicidio tra i bambini e i ragazzi, attribuendolo alla mancanza di attività sportiva e di socializzazione. [3]
A livello globale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i suicidi si collocano al secondo posto tra le cause di morte nella fascia d’età 15-29 anni. Seconda causa di morte anche per i giovani italiani dai 15 ai 24 anni. Sui 4.000 suicidi l’anno registrati nel nostro paese, riferisce ISTAT, oltre il 5% è compiuto da ragazzi sotto i 24 anni.
Il dramma sociale che colpisce giovani e bambini in questo difficile passaggio storico può trovare un fondamentale ausilio nelle politiche socio-assistenziali che una società civile dovrebbe mettere in campo; gli stessi supporti psicologici in ambito scolastico e territoriale dovrebbero essere potenziati per mettere un argine al disagio che coinvolge le nuove generazioni in questa fase di lockdown e distanziamento sociale persistenti. Peraltro già da anni assistiamo ad una pesante crisi identitaria e culturale degli adolescenti, legata in buona parte al nichilismo dei valori dominanti nella nostra epoca, come sostenuto dal professor Galimberti. [4]
Psicoterapia, attività ricreative e sportive possono dare un significativo contributo terapeutico; in numerosi casi la sofferenza esistenziale e psicologica dei giovani e delle loro famiglie non può giovarsi di trattamenti esclusivamente farmacologici.
[1] Across virtually every key measure of childhood, progress has gone backward, UNICEF says as pandemic declaration hits one-year mark - leggi l'articolo completo
[2] Coronavirus, con seconda ondata posti di neuropsichiatria infantile al Bambino Gesù tutti occupati: "Non era mai successo"- leggi l'articolo completo
[3] Boom di tentativi di suicidio tra bimbi e ragazzi causa del Covid-19. Tra le carenze scuola e sport- leggi l'articolo completo
[4] Conferenza di U. Galimberti: "il disagio giovanile nell’età del nichilismo" - guarda il video