Psicologia e gestione dello stress

Invecchiamento: una questione sociale e culturale

 a cura di Bruno Zucca

Aspetti sociali

Gli eventi epidemici hanno messo in luce la drammatica condizione in cui spesso vivono le persone anziane. Nel corso dell’ultimo anno molti di loro hanno subito un isolamento forzato dai rapporti con i loro famigliari. All’interno di una campagna di prevenzione territoriale delle malattie degenerative e delle malattie infettive è fondamentale l’educazione a stili di vita più sani nella Terza età.

Il progresso tecnologico e scientifico, il benessere materiale ed economico ed i passi in avanti compiuti dalla medicina hanno consentito all’uomo contemporaneo di godere di una maggior aspettativa di vita. Nei secoli scorsi si moriva molto giovani, oggi invece si può raggiungere facilmente un traguardo di ottant’anni.

La cultura dominante non ha considerato però questo salto epocale una risorsa per l’Uomo. La nostra società non è in grado di tollerare l’invalidità, l’inefficienza senile od il destino di morte.

Frequentemente i nonni servono alla famiglia per occuparsi dei nipoti, altrimenti abbandonati a sé stessi da genitori che per necessità sono impegnati lavorativamente a tempo pieno; ed è solo per questo che spesso non si tollera l’eventuale invalidità dell’anziano. I nostri nonni sono spesso costretti a lunghe degenze in costose case di cura lontano dagli affetti. In questi stessi luoghi poi si finisce per morire in maniera anonima.

Anche l’esperienza del morire infatti viene negata dalla materialistica società dell’apparire. Molte situazioni parafisiologiche dovute all’invecchiamento meriterebbero di essere seguite a casa da personale specializzato impegnato sul territorio, capace di supportare solitudine e mancanza di autosufficienza. Spesso però lo Stato, essendo pesantemente indebitato, non può permettersi questo servizio. A milioni di persone che hanno lavorato una vita intera non viene così concessa l’opportunità di godere nell’ultima parte della loro esistenza di capillari attività assistenziali, ricreative, culturali e sociali. I talenti umani rimasti inespressi nel periodo economicamente produttivo della vita non vengono così valorizzati. Talvolta si ritiene addirittura dispendioso investire nel settore assistenziale, ricreativo e culturale, considerato economicamente non sostenibile dalle finanze statali.

Pur considerando che l’allungamento dell’età media comporta inevitabilmente un maggior numero di malati da curare e maggior assistenza da erogare, non possiamo parallelamente dimenticare lo spreco economico conseguente ad una eccessiva medicalizzazione dell’invecchiamento. Si ricorre infatti spesso a ricoveri, accertamenti o terapie non indispensabili, come accade nel caso di tumori o demenze che colpiscono i novantenni. Una società culturalmente matura ed evoluta deve cogliere l’opportunità dell’allungamento dell’aspettativa di vita e consentire ai suoi cittadini più anziani una dignitosa Terza età; questo potrebbe consentire loro di apprezzare maggiormente l’esistenza grazie a momenti di ricerca psicologica interiore (gruppi psicologici di autocoscienza), a luoghi di formazione culturale (università per anziani), a palestre dove si possono praticare attività ginnico - sportive, ad ambiti che consentano l’espressione artistica, a spazi ricreativi e di socializzazione, ad attività come l’orticoltura, a centri bocciofili, a scuole di danza o di musica.

Aiutare lo sviluppo psicofisico e spirituale di un individuo che invecchia non è un lusso“superfluo” che la nostra civiltà non può permettersi. Invecchiare nel terzo millennio può essere un grande privilegio per ampi strati di popolazione e non un peso economico insostenibile. Una delle tante contraddizioni della nostra epoca è quella che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile a fronte di milioni di giovani senza lavoro. Se nella nostra epoca prevalesse il buon senso e la saggezza a tutto questo si porrebbero correzioni. Si continua invece a considerare l’invecchiamento non remunerativo e causa di perdita di produttività.

Aspetti culturali

In una società che misura tutto con il parametro del denaro. Il vivere più a lungo non viene valorizzato, non viene considerato un traguardo del progresso, capace di consentire un sereno e ampio sviluppo delle potenzialità umane. Il passaggio dalla società contadina alla società industriale ha comportato un atteggiamento culturale svalutativo verso la vecchiaia.

Nella società dell’efficienza il vecchio è considerato un peso, non è più il maestro di vita che può orientare le scelte con i suoi saperi e la sua saggezza. I tempi dilatati e liberi dal vincolo produttivo che accompagnano la terza età non vengono considerati una opportunità di espansione e di espressione delle potenzialità valoriali dell’essere umano. Invecchiare può infatti consentire lo sviluppo di importanti caratteristiche umane: la sapienza, la saggezza, la maturità, l’equilibrio. Queste qualità, per altro, non sono possibili precocemente nel processo di sviluppo psicologico perché sono direttamente proporzionali all’età. Quando un individuo gode della forza della giovane età si sente padrone della situazione; egli deve giustamente investire energie per raggiungere i suoi scopi con entusiasmo e coraggio.

Quando invece perde vitalità impara ad essere più misurato, a riconoscere il senso del limite, a rinunciare alla presunzione e all’onnipotenza; impara ad affidarsi al destino, a rinunciare all’egoismo, diventa più fatalista e può insegnare e testimoniare la saggezza, la fede e la religiosità. Tutto questo è difficile che si manifesti in epoca giovanile poiché l’albero della vita umana dà i suoi frutti in autunno, cioè tardi negli anni, quando finalmente l’essenza umana può emergere.

L’essenza dell’uomo è caratterizzata da molteplici facoltà, tra cui la libertà, la socialità e la spiritualità. L’uomo nasce libero ma la vera libertà la può sperimentare solo quando si libera dai doveri sociali e familiari e può essere veramente sé stesso, ovvero quando è anziano. L’uomo è un animale sociale ovvero non può prescindere dalle relazioni umane: l’età in cui può esprimere il meglio di sé in campo affettivo, comunicativo e sociale è l’età avanzata, quando equilibrio, saggezza ed autenticità possono emergere. L’uomo è un essere spirituale e nella Terza età può finalmente dedicarsi all’ascolto del silenzio interiore, alla contemplazione del mistero che lo sovrasta, sviluppando la capacità di affidamento. A quest’albero dai frutti tardivi una società evoluta deve dare rispetto e nutrimento pena un’inesorabile decadimento involutivo. L’evoluzione sociale umana è infatti conseguente all’evoluzione dei suoi membri di generazione in generazione.

Concludo con una citazione del grande Psichiatra e Psicoanalista svizzero C. G. Jung:

 “… nella seconda metà dell’esistenza rimane vivo soltanto chi, con la vita, vuole morire. Perché ciò che accade nell’ora segreta del mezzogiorno della vita è l’inversione della parabola, è la nascita della morte. La vita dopo quell’ora non significa più ascesa, sviluppo, aumento, esaltazione vitale, ma morte, dato che il suo scopo è la fine. “disconoscere la propria età” significa “ribellarsi alla propria fine”. Entrambi sono un “non voler vivere”; giacché “non voler vivere” e “non voler morire” sono la stessa cosa. Divenire e passare appartengono alla medesima curva.

La coscienza fa quel che può per non accogliere questa verità pur incontestabile. In genere si resta attaccati al proprio passato, fermi nell’illusione di restar giovani. Essere vecchi è estremamente impopolare. Non ci si rende conto che il “non poter invecchiare” è cosa da deficienti, come lo è il non poter uscire dall’infanzia. Un uomo di trent’anni che è ancora infantile viene compatito; ma un settantenne giovanile viene considerato “delizioso”. Eppure sono entrambi perversi, senza stile e psicologicamente deformi. Un giovane che non lotta e non vince, si lascia sfuggire la parte migliore della giovinezza; un vecchio che si rifiuta di dare ascolto al mistero del torrente che scroscia dalle cime verso le valli, è dissennato, è una mummia spirituale e quindi null’altro che un passato cristallizzato. Egli se ne sta fuori della propria vita e non fa che ripetersi meccanicamente fino alla più stucchevole sazietà. Che razza di civiltà può essere quella che ha bisogno di simili fantasmi?”

Carl G. Jung “Anima e morte – sul rinascere” ed. Boringhieri